Omelia della XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Fratelli e Sorelle carissimi, vivere i comandamenti del Signore vuol dire essere felici, come se fossimo presenti all’interno nell’anticamera del Paradiso. “Temi il Signore, tuo Dio!”. “Tuo Dio!”, in virtù dell’alleanza d’amore, che ha raggiunto, nella pienezza dei tempi, il suo vertice e la sua profonda verità in Gesù Cristo. E’ un’alleanza che include il carattere sponsale, e che pone in atto, di conseguenza, la gelosia di Dio di fronte agli idoli, amanti falsi e vuoti (Es 20,5; Dt 4,24). Abramo si sentì dire (Gn 17,7): “stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza…per essere il Dio tuo”. Nell’inno di gioia dopo il passaggio del mar Rosso l’Israelita proclamava (Es 15,2): “E’ il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!”. E’ l’alleanza che fa dire “il tuo Dio”, poiché tali parole seguono quelle di Dio (Es 20,2): “Io sono il Signore, tuo Dio”. “Il mio Dio”, dice san Paolo (Rm 1,8); non perché ce ne sia uno per lui e altri dei per chi li vuole, a scelta di piacimento. Dio è unico, ma ugualmente Paolo dice “il mio Dio” poiché vive la nuova ed eterna alleanza stabilita nel sacrificio di Cristo, escludendo da sé, come abominio, i falsi dei pagani. E quanti falsi dei noi dobbiamo avere in abominio: il denaro come mezzo di prestigio e di potere, il sesso fine a se stesso, gli onori gonfi del mondo, il potere che asservisce gli uomini e non li serve. Chi si ammanta di queste cose ha l’obiettivo di presentarsi lui stesso come un dio, per cui san Giovanni nella sua prima lettera mette in guardia contro questi dei in carne e ossa (1Gv 5,21): “Guardatevi dai falsi dei”, o con traduzione migliore: “Guardatevi dagli idoli”, cioè dagli uomini che vogliono essere idolatrati. È possibile che un uomo arrivi a farsi idolo delle folle? Possibile. Nel 900 ne abbiamo visti tanti, e ancora oggi ne vediamo tanti. Il primo comandamento da vivere è: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”, ma c’è anche il secondo, che “è simile a quello” (Mt 22,39). Senza il secondo comandamento l’espressione “il mio Dio”, diventa espressione pagana, poiché nega che vi sia un solo Dio, ma un mio Dio, un tuo Dio, un suo Dio, un loro Dio, mentre uno è il creatore di tutti, che ama tutti, che vuole che la conoscenza di lui sia portata a tutti e al quale dobbiamo rivolgerci dicendogli in Cristo: “Padre nostro”. I farisei credevano di osservare il primo comandamento, ma non lo osservavano in realtà, poiché non vivevano il secondo comandamento. La loro vita era questa: amo Dio, ma non il mio fratello perché peccatore, infame, intriso di impurità. Ricordiamoci la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,10s). Lo scriba che si avvicinò a Gesù disse il vero riconoscendo che al primo comandamento va associato il secondo. “Non sei lontano dal regno di Dio”, gli disse Gesù, poiché la legge del Regno è amare Dio e il prossimo. La legge del Regno è l’amore annunciato e testimoniato da Gesù; l’amore che si è riversato nei nostri cuori per lo Spirito Santo (Cf. Rm 5,5). Nessun uomo può innalzarsi sugli altri ritenendosi dispensato dal dire con tutta umiltà “Kirye eleison; Kirye eleison; Kirye eleison”. Nessun uomo si salva con le sue sole forze, poiché nessuno può pagare il riscatto (Cf. Ps 48,8) dei propri peccati a Dio. Anche il più santo degli uomini non può prescindere dal chiedere perdono, e non perché faccia peccati mortali, ma per tutte quelle imperfezioni che il Padre celeste, dagli occhi purissimi, vede ancora in lui. Solo Gesù non ha mai avuto la minima imperfezione, e così Maria nella sua dimensione di creatura. Sempre perfetto Gesù, che ha sigillato la sua vita con un sacrificio perfetto, davanti agli occhi degli uomini e ancor più davanti agli occhi purissimi del Padre. Sempre perfetto Gesù davanti agli uomini, ma il Padre lo volle perfetto, di una perfezione super perfetta mediante la croce (Cf. Eb 5,8-9). Per quell’amore super perfetto davanti al Padre Cristo ci ha meritato dal Padre lo Spirito d’Amore, e possiamo amare, soprannaturalmente amare. Amare Dio e gli uomini. Se amiamo, noi entriamo in una mistica terra dove scorre latte e miele. Latte e miele che vanno pensati come dei simboli. Il latte infatti dà ristoro dall’arsura e anche rilassa; il miele dà vigore e distende l’animo con la sua dolcezza. Latte e miele dicono pace e dolcezza e forza. Chi osserva l’alleanza d’amore è nella pace e nella dolcezza; questo anche se dovesse andare per una valle oscura (Cf. Ps 22,4). Chi ama, ripeto, vive nell’anticamera del Paradiso. L’amore è la vera ricchezza. Il fallito è colui che non ama, non quello che non ha fatto soldi, avuto successo e notorietà. Chi non ama vuol dire che odia l’amore, che ha operato in se stesso un’inversione deformante; nato per amare, e raggiunto da Cristo, salvatore e datore dello Spirito d’Amore, preferisce rifiutare l’Amore; ma rifiutare l’Amore significa odiare. Chi è l’alienato? Non un povero che conosce l’indigenza ma non il gelo del cuore. Non un uomo che non può accedere alla cultura di un mondo ricolmo di sapere ma possiede la conoscenza di Dio Amore. Il vero alienato, la vera alienazione, è tagliarsi fuori dall’amore. Questa è la vera alienazione, perché dove non c’è Dio, c’è il nulla, sole le cose della terra che dovranno essere lasciate. Cristo, indubbiamente, ha fatto la scelta dei poveri; ma, attenti, a non interpretare questa scelta in termini classisti. Gesù ha amato tutti; si è rivolto preferenzialmente ai poveri perché spesso condizionati dal sapere dei potenti, spesso disinformati e oppressi culturalmente. I poveri avevano bisogno di esser istruiti per essere sottratti al lievito dei potenti (Cf. Mt 16,6). Rivolgersi ai poveri contro i ricchi non è stato il pensiero di Gesù; Gesù non è venuto a portare la guerra di classe come soluzione delle alienazioni degli oppressi, ma l’amore. Lazzaro era un uomo ricco, così Zaccheo; Gesù non ha considerato la ricchezza con ostilità. Anche i ricchi erano dei poveri davanti a lui. Giuste le azioni ordinate al bene dei poveri, ma ingiusti i “giudizi universali” sui ricchi. Gesù ci ha consegnato una lezione d’amore e non di odio. E solo l’amore è capace di rendere nuovo il mondo. Chi ama Dio, non può non amare il fratello. Chi poi dice di amare Dio, e tenta di asservirlo a sé, cercando di farlo complice della sua durezza verso gli altri, come fece quel fariseo della parabola (Lc 18,11s), fa veramente paura, più paura di un ricco disonesto. Quest’uomo che deforma la conoscenza di Dio, fa paura. Un uomo che nega l’Amore, come quel fariseo, è sempre pronto a fare il “giudizio universale”, a condannare per innalzare sé stesso. Gesù ha fatto la scelta dei poveri per liberarli da quelli che sono sempre pronti a fare il “giudizio universale”, dimenticando che il Giudice è lui, e loro sono dei chiamati in giudizio. Certo, il giudizio universale. Occorre il giudizio del Supremo Giudice; occorre per la condanna, ma occorre anche per il premio; senza il giudizio non può subentrare il premio. Cristo, giudice giusto (Cf. 2Tm 4,8), verrà e coloro che lo amano lo attendono, perché sanno che comportandosi secondo il Vangelo, avranno da lui il premio eterno, cioè il possesso eterno di Dio stesso, e potranno dire nella gloria celeste (Ps 62,2): “O Dio, tu sei il mio Dio”, come pure (Cf. Ap 4,11) “Tu sei degno, o Signore Dio nostro”. In Gesù Cristo, nella gloria, comprenderemo pienamente l’essere figli di Dio e vivremo eternamente la luce senza fine di queste parole di Gesù (Gv 20,17): “Dio mio e Dio vostro”.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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